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Accolto nel peggiore dei modi dalla città di Antiochia, detestato per la pretesa di far risorgere i culti degli dèi pagani, ormai travolti dal cristianesimo, e infine deriso per la sua ispida barba, simbolo di una vita consacrata alla filosofia, allo studio e a una religiosità severa e intransigente, l'imperatore Giuliano l'Apostata reagisce in modo sorprendente: scrive di getto "L'odiatore della barba", un'amara satira contro quella città ingrata e incapace di comprendere le vere radici della virtù e della religione. In questo testo, amato dal Leopardi e assolutamente atipico, si fondono amarezza, erudizione, virtuosismo retorico e volontà di riscattarsi agli occhi di un popolo refrattario a ogni senso del dovere e della virtù.